
10 MARZO 1959 LA GRANDE RIVOLTA DI LHASA
10 MARZO 1959 LA GRANDE RIVOLTA DI LHASA
Durante il periodo che va dalla prima metà del 1600 al 1912 la scena politica tibetana ha visto alternarsi momenti di autonomia politica a lunghi periodi di protettorato da parte di potenze straniere, ma a partire dal 1913 fino al 1950 il Tibet era, di fatto, un paese indipendente. Dopo la morte del XIII° Dalai Lama,avvenuta nel 1933, Tenzin Gyatso, l’attuale Dalai Lama, venne riconosciuto come la sua reincarnazione nel 1937, all’età di due anni.
Il 1°ottobre del 1949 Mao proclamò a Pechino la Repubblica popolare cinese e l’anno successivo ordinò all’esercito cinese di invadere il Tibet. La prima regione tibetana che cadde sotto i colpi dell’artiglieria cinese fu il Kham dove furono uccisi migliaia di civili e devastati monasteri.
Temendo che la Cina potesse invadere il resto del paese in breve tempo il Kashag, il governo tibetano, spinse affinché l’ancora minorenne Dalai Lama fosse posto a capo dello stesso governo al posto del reggente Tathag Rinpoche e fosse trasportato in luogo sicuro pronto a fuggire. A seguito delle rassicurazioni in merito da parte dei cinesi il Dalai Lama rientrò a Lhasa, sforzandosi negli anni successivi di ottenere condizioni di occupazione meno dure e di gestire gli affari interni del Tibet senza influenze esterne.
Nel 1951 i cinesi imposero al governo tibetano “l’accordo in 17 punti” in base al quale i tibetani riconoscevano la sovranità cinese e permettevano l’ingresso a Lhasa di un contingente dell’esercito per programmare il graduale inserimento delle riforme per l’integrazione del Tibet nella Cina.
Le autorità cinesi si impegnarono in cambio a non occupare il resto del paese ed a non interferire nella politica interna, la cui gestione veniva lasciata al governo tibetano, ma prendendosi carico di tutte le relazioni tibetane con l’estero.
Nel 1959, per la precisione il dieci di marzo, il popolo tibetano stanco delle continue vessazioni da parte dei soldati cinesi proruppe in una grande insurrezione, la causa pare sia stata la notizia che i cinesi volessero rapire il Dalai Lama. Ciò provocò le ire del partito comunista cinese che ordinò una repressione durissima.
Le vittime stimate furono ben 65.000 e circa 70.000 persone furono deportate e di loro non si seppe più nulla. Temendo per la vita del Dalai Lama il governo tibetano organizzò in gran segreto la fuga del Dalai Lama in India.
La risposta cinese fu l’occupazione integrale del Tibet e la dichiarazione di illegalità del governo tibetano. Il Tibet fu frazionato, buona parte dei suoi territori fu assegnata alle province cinesi del Qinghai, del Gansu, del Sichuan e dello Yunnan. La parte rimasta divenne nel 1964 la Regione Autonoma del Tibet, una provincia della Cina a statuto speciale corrispondente alla regione storico geografica dello U-Tsan.
Gli anni seguenti furono, per il Tibet, ancora più nefasti poiché tra il 1966 e il 1976 si abbatté sul popolo tibetano la devastazione della “rivoluzione culturale” dove migliaia di monasteri furono distrutti e chi veniva anche solo sospettato di non essere in linea con i dettami del partito comunista veniva ucciso.
Alla fine, secondo stime recenti, si contano danni irreparabili al patrimonio storico, religioso e culturale del Tibet con un milione e trecentomila morti e 120-150 mila persone fuggite dal Tibet verso l’India, il Bhutan, il Nepal e in occidente.
Ad oggi il Dalai Lama, che ha rinunciato ad ogni carica politica, spinge per una soluzione pacifica che prevede non più l’indipendenza del suo paese, ingiustamente invaso, ma una larga autonomia in seno alla Repubblica popolare cinese che garantisca libertà di religione all’interno del Tibet.
Le autorità cinesi hanno fin’ ora ignorato le richieste di Sua Santità e del governo tibetano.